25 novembre 2019 - 20:35

Il premier greco Mitsotakis: «Si può vincere da antipopulisti. Taglio le tasse,la Grecia riparte»

La promessa del leader conservatore a cinque mesi dalla nomina: farò meglio di Tsipras

di Federico Fubini, inviato ad Atene

Il premier greco Mitsotakis: «Si può vincere da antipopulisti. Taglio le tasse,la Grecia riparte»
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Kyriakos Mitsotakis all’ora di pranzo resta in maniche di camicia alla scrivania che per anni, forse per una vita, si è preparato ad occupare. Nel suo albero genealogico è il quarto primo ministro greco: suo padre Konstantinos fu terzo, sua sorella Dora Bakoyannis è stata ministra degli Esteri. Essere venuto al mondo in una famiglia così non è stato solo un privilegio per quest’uomo di 51 anni, con diplomi a Harvard e Stanford e una carriera a McKinsey nel curriculum. Quand’era neonato, i suoi vivevano relegati agli arresti domiciliari dalla giunta dei colonnelli; quand’era studente, suo cognato fu trucidato da un gruppo armato comunista. Dev’essere anche per questo che Mitsotakis nel Maximou, la residenza dei premier, non mostra affatto la noncuranza di uno che sente di esercitare un diritto naturale; è motivatissimo, carico di energia quando dice: «Io sono l’anti-populista. Darò alla Grecia una direzione nuova dopo l’era della crisi».

Mitsotakis, lei è premier da cinque mesi. Che strategia ha?
«La priorità è garantire che la Grecia si lasci alle spalle la crisi e raggiunga a una crescita sostenibile e inclusiva che faccia leva sui nostri punti di forza. Vogliamo ridurre le tasse, sostenere il potere d’acquisto, rendere il Paese attraente per gli investimenti esteri e per i capitali del Paese. Vogliamo raggiungere tassi di crescita significativamente più alti di come sarebbe stato con il governo di prima (di Alexis Tsipras, ndr)».

Come fa se l’accordo con l’Unione europea prevede che manteniate un forte surplus di bilancio - il 3,5% del Pil - al netto degli interessi?
«Stiamo legiferando sui tagli alle tasse proprio ora. Abbiamo appena presentato un nuovo pacchetto fiscale che taglia l’aliquota sulle imprese dal 28% al 24%, i dividendi dal 10% al 5% e taglia notevolmente il carico sul settore immobiliare. In più, creiamo un sistema di vantaggio per gli stranieri che fanno della Grecia la loro residenza fiscale e rendiamo fiscalmente conveniente la spesa in ricerca e sviluppo. È tutto concordato con l’Europa e riteniamo che non metta a rischio il surplus primario di bilancio al 3,5% nel 2020. Quest’anno e il prossimo lo rispettiamo, anche se abbiamo già ridotto la pressione fiscale».

Come fa a controllare i conti tagliando tanto le tasse?
«Perché l’economia crescerà di più, dunque avremo più entrate. Inoltre stiamo allargando la base fiscale e spingiamo sui pagamenti digitali. Ma ho detto ai miei interlocutori: conquisterò credibilità, dimostrerò che quando parlo di riforme faccio sul serio e l’anno prossimo discuteremo di ridurre gli obiettivi di surplus di bilancio del 2021 e 2022».

Pensa ci sia spazio in Europa per darvi concessioni?
«È chiaro. L’obiettivo di surplus primario al 3,5% oggi non ha senso. Ormai abbiamo tassi sul debito molto più bassi e cresciamo più di quando furono fissati quegli obiettivi. E c’è una ragione politica: non c’era fiducia nel governo di prima, ce n’è molta nel mio. Non rischiamo di tornare all’indisciplina di bilancio».

L’otto novembre lo spread sui titoli greci è stato più basso di quello dell’Italia. È perché, a differenza dell’Italia, la Grecia oggi segue una rotta precisa?
«Gli investitori si sono convinti che non c’è un reale rischio politico sulla Grecia e che abbiamo lasciato la crisi alle spalle».

Dunque, chiunque governi a Atene, l’euro non è in discussione?
«Oggi questa è una domanda irrilevante. Non ce lo chiede più nessuno. La domanda è: chi avrà una storia di crescita positiva nell’area euro? È se confrontiamo la Grecia con altri Paesi del Sud Europa, ciò che conta è che abbiamo un solo partito al governo, con un mandato forte, una maggioranza assoluta in parlamento e un impegno sulle riforme. Un governo anti-populista».

Lei si vede come l’incarnazione dell’anti-populismo?
«Sono stato eletto come anti-populista, certo. Volevo batterli, i populisti. Quando nel 2015 o nel 2016 Tsipras era il cocco dell’establishment europeo e certa gente pensava che sarebbe rimasto per sempre, io dicevo: lo vedrete, populisti sono incompetenti, non hanno soluzioni e a un certo punto i greci se ne accorgeranno. La Grecia ha sofferto, ma ora sta uscendo dalla crisi e ha un governo riformista. Noi come Paese avremmo potuto disintegrarci, uscire dall’euro e andare alla catastrofe. Invece abbiamo dimostrato tenuta e perseveranza e ne usciamo più forti e maturi come società. Quando è così, non serve molto per cambiare l’atmosfera».

Lei è il primo in Europa a battere un governo populista alle elezioni. Che lezione ne trae?
«Che saremo vaccinati contro il populismo per un pezzo».

Crede che l’Italia debba passare attraverso lo stesso ciclo politico?
«Non so. Ma se lei chiede a me, spero di no. Può essere distruttivo».

L’Europa sta lasciando la Grecia da sola a gestire i rifugiati?
«L’Europa deve accelerare e non è solo questione di soldi. Va cambiato l’accordo di Dublino, trovando un quadro di condivisione degli oneri nel gestire le domande di asilo. Abbiamo regole uniformi ovunque, non c’è ragione per cui debbano essere gestite solo in Grecia o in Italia. Poi l’Europa deve anche proteggere i suoi confini esterni con un sistema Frontex più forte».

I vostri centri di accoglienza nell’Egeo sono in condizioni inaccettabili, lo sa vero?
«Abbiamo accelerato le procedure di asilo e stiamo mettendo su centri di detenzione pre-ritorno in Turchia. Ora, poiché la situazione è chiaramente molto difficile, abbiamo preso una decisione politica anch’essa delicata: spostare 20 mila persone dalle isole alla terraferma. Ma l’Europa deve smettere di nascondere la testa nella sabbia e fingere che questo sia solo un problema greco, italiano o spagnolo. È una questione europea».

Trova che sui rifugiati l’Europa abbia dato troppa attenzione all’Italia e non alla Grecia?
«Assolutamente sì».

Sa cosa si dice di lei? Che si dedica all’economia e ha affidato la questione dei migranti all’ala destra del suo partito, più xenofoba e illiberale.
«Non è vero. La persona che di occupa di questo nel governo (Michalis Chrisochoidis, ndr) viene dai socialisti. Io sono un centrista e credo che sia benvenuto chiunque abbia il diritto di vivere in Grecia e voglia fare della Grecia il suo Paese, poco importa il colore della pelle o il Paese d’origine. Nelle parate nel Giorno dell’Indipendenza, sono orgoglioso quando vedo una ragazza di colore che porta la bandiera greca, un simbolo che tocca allo studente migliore. Ma non significa che apriamo a tutti. Siamo noi che fissiamo le regole su chi può arrivare e dovrebbe essere anche l’approccio europeo. Non credo di essere di destra o xenofobo per questo, sono molto onesto e esplicito sui problemi che dobbiamo gestire».

Teme che il veto di Parigi sui negoziati di accesso alla Ue per l’Albania e la Macedonia del Nord possano destabilizzare i Balcani?
«Temo sia stato un errore. Ci saranno pressioni sulla Francia perché ci ripensi. Il governo di Parigi sta proponendo un piano per rivedere l’intero processo di adesione e ci sono alcuni punti validi in quel che dice Emmanuel Macron. Ma se si guarda al quadro complessivo, impedire l’avvio dei colloqui di adesione è un fattore destabilizzante per i Balcani».

Teme che la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) dia ai Paesi creditori troppo potere?
«Il Mes è il nostro principale creditore. L’Europa ha bisogno di un Mes forte».

Andreas Georgiou, l’ex capo dell’ufficio statistico, resta sotto processo per aver portato alla luce lo stato dei conti greci del 2009. Accettabile? «Su questioni giudiziarie non commento, ma è tempo di mettere fine a questa storia. Lei capisce cosa voglio dire. È durata già troppo e ha danneggiato la reputazione del nostro Paese».

Come vede le prospettive di cooperazione economica e di affari fra Grecia e Italia?
«La Grecia mantiene la sua posizione come partner commerciale importante dell’Italia. Siete la destinazione più importante del nostro export e il nostro secondo maggior fornitore. Abbiamo visto importanti investimenti di imprese italiane nell’energia, nei trasporti e nelle costruzioni e invito le aziende del vostro Paese a investire ancora di più da noi, per approfittare dell’ambiente favorevole alle imprese che stiamo creando. Oltre al programma Hercules Aps (per le banche, ndr), sono stati sbloccati grossi progetti d’investimento nelle costruzioni come l’Hellinikon e l’ampliamento del porto del Pireo. Sono ripartite le privatizzazioni, inclusa quella del aeroporto internazionale di Atene. Ed è stato messo in piedi un progetto credibile per rafforzare l’azienda più grande del Paese, la Public Power Corporation».

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